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| MESSAGGI DI BETLEM
I TRE MONDI
Una delle pagine meravigliose, la cui letture ricordo con piacere è il prologo, “ I due mondo” all’Ebreo errante di E. Sue.
Due grandi peccatori, condannati ad errare fino alla redenzione della loro anima, venienti per vie diverse, dopo essere passati traverso uno spaventevole uragano, sperano vedersi agli estremi confini del mondo, allo stretto canale di bering, e, in un momento di rifrazione luminosa, causato dall’aurora boreale i due strani viaggiatori sembrarono avvicinati, ma la luce si dileguò subito, ed essi ripresero per diverse direzioni, il loro solitario cammino.
Questo ricordo mi ha suggerito il titolo a questo scritto : “I tre mondi”.
Tre continenti si riunirono alla mangiatoia di Betlem, alla nascita di Gesù. L’Europa apparve in Erode, rappresentante il potere di Roma; l’Asia nei Magi, rappresentanti la sapienza della Persia; l’Africa nella fuga del bambino Gesù in Egitto, l’antica casa del popolo d’Israele. Così un grande pensatore.
Questi continenti avevano tre caratteri spiegati, e pressocchè inconciliabili. Da una parte, l’elemento attivo e pratico del popolo Romano, da un’altra, l’elemento mediativo, intellettuale della Persia; e l’Egitto, poi dava l’idea di una vita di là della tomba.
Ognuno di questi tre elementi viveva in una sfera propria. V’era sempre stata una profonda antipatia tra l’Egitto e l’Asia, e Roma aveva desiderato portare dovunque le sue aquile ed imporre ferree leggi. Però, questi tre ideali, incompleti ciascuno in se stesso, ma formanti una grandiosa unità, non dovevano perire, e tutti e tre si uniscono nel divino bambino alla culla di Betlem.
Difatti, viveva il Romano di vita pratica, e Gesù fu operoso ed energico, di un’attività tale, che contrastava con l’ambiente e clima stanco degli orientali. Ma la sua energia fu temperata, in modo mirabile, dalla più dolce e profonda contemplazione. Se il Persiano amava le ore di quiete. Gesù fu il vero amico della solitudine, nella quale si ritirava, stanco di lunghi lavori, a vivere in comunione col Padre suo. Dunque, attivo e contemplativo fu Gesù più che altri mai prima o dopo di lui sia stato, senza che la immensa attività abbia sviluppato un carattere aspro, o la contemplatività ne abbia fatto un sognatore.
Nuovo campo Egli apre alle energie ed al pensiero. A questi due elementi aggiunge un terzo.
L’Egitto, la terra delle piramidi, le tombe secolari dei Faraoni, simboleggia l’immortalità. Grande era la cura degli Egiziani nell’imbalsamazione dei cadaveri che intendevano preservare dall’opera distruttrice del tempo. E Gesù rappresenta la vita.
Innanzi al monumento di Lazzaro, in risposta alla dolente Marta, Egli esclama: “Io sono la resurrezione e la vita; chiunque crede in me, benchè sia morto vivrà. E chiunque vive e crede in me non morrà giammai in eterno”.
Attivo, contemplativo, immortale, i tre fattori sono uniti in un solo uomo. I tre mondi rappresentano tre lati dell’umano bisogno: Gesù tutti e tre li comprende.
Ed, inoltre, questi tre principii avevano avuto tre mezzi speciali di espansione: L’attività Romana si era propagata colla forza materiale; la vita di Persia con un’apparente sapienza, l’immortalità d’Egitto colla durevolezza dei monumenti:. Or Gesù questi questi tre elementi ha affidati a diverso metodo di espansione. Al regno poco durevole della violenza, ha sostituito il dominio eterno dell’amore, alla pretesa sapienza la semplicità dei cuori; alla durevolezza delle opere materiali la fede nel Salvatore. Conquistare, dunque, il mondo con l’amore, aprire i cuori ai misteri divini colla semplicità del bambino, vivere nell’eternità colla fede.
Ma v’era qualche cosa che il passato non conosceva, o cui non aveva badato. Il grido di milioni di sofferenti, ascoltato sempre non risposta mai, arrivò anch’esso alla culla di Betlem..
Gesù, esperto in dolori e languori, rispose, colla sua tenerezza e compassione, a quel grido. Egli piegò la forza attiva, la sapienza, l’immortalità al livello delle sventure, ed andò attorno facendo del bene, mosso di compassione. Alla culla di Betlem, dunque, i tre mondi si danno la mano, e i dolori trovano consolazione; una nuova epoca sorge, poco notata da principio, ma che deve dare un diverso indirizzo alla storia dell’umanità.
GIOIA PER UN ALTRO
“Ma l’angelo disse loro: Non temiate; perciocchè io vi annunzio una grande allegrezza, che tutto il popolo avrà cioè, che oggi, nella città di Davide, vi è nato il Salvatore, che è il Cristo il Signore”. (Luca 11:10-11).
Desidero richiamare l’attenzione sulle parole “grande allegrezza” - L’Angelo annunziava che il popolo avrebbe una grande allegrezza. Eppure, questa promessa “grande allegrezza” era più che altro, una profezia. Il popolo, non ebbe allegrezza; sappiamo, invece, che tutta Gerusalemme fu turbata. Però, i pastori di Betlem, il vecchio Simeone, la profetessa Anna, e il cielo si rallegrarono per la nascita di Gesù.
Gioia per un altro. In due modi ci esprimiamo pel male e pel bene altrui. - Mi addoloro, mi congratulo. - Di queste du espressioni la prima è, nella generalità dei casi, la più sincera: Siamo più disposti a sentire dolori per l’altrui sventure, che non gioia nell’altrui successo. - Sarà, difatti più profonda la condoglianza dell’amico vostro nella sventura che vi ha colpito, che non già vera la sua gioia quando la fortuna vi arrida.
Il Signore Gesù Cristo ci ha insegnato cosa sia il soffrire per un altro, ed anche ci ha lasciato un’immagine di cosa sia gioia per un altro. Egli era gioioso per natura, ed afflitto solo pel peccato dell’umanità.
In un passo degli evangeli leggiamo, “Gesù giubilò in ispirito”. E fu quella una delle rare occasioni in cui Egli mostrò gioia, perché dagli uomini Egli non ebbe molti di simili occasioni. I settanta erano, pieni di allegria, tornati dalla loro missione; ed il Signore gioiva della loro allegrezza, perché vedeva in quella gioia la visione lontana di quella pura e serena del regno dei cieli.
E l’ultimo senso della gioia di Gesù era che essa passava pel cuore di Suo Padre.
Vi è gioia per un altro, e deve essere disinteressata, superiore ai vincoli domestici e sociali, la gioia che si rallegra pel bene in se stesso. Una tale gioia fu annunziata ai pastori di Betlem; però il messaggio scendeva dal Cielo, perchè la gioia vera viene solo dal Cielo. Dal seno dell’umanità, senza Cristo, sale il dolore. Forse, è per questo che la letteratura e l’arte di tutti i tempi e di tutti i luoghi ha saputo così bene presentare il dolore, ed è venuta meno nella descrizione della gioia; od anche, se ha tentato di descriverla non l’ha saputa liberare dall’affanno che è il veleno insidioso di ogni umana allegrezza.
La mano di Dante è ferma e sicura nel descrivere l’inferno; trema e quasi cade nel Paradiso.
Dunque, la parola dell’Angelo “Grande allegrezza” è profetica. E quando la culla di Betlem sarà causa di gioia cesserà ancora la paura. Ed avverrà questo se gli uomini si dispongono, in umile aspettativa, a ricevere Gesù Cristo. - In questa tutte sono comprese le altre gioie possibili. Dalla gioia pel Signore è facile discendere a quella pel prossimo. - Allora la felicità dell’uno sarà davvero la felicità dell’altro.
Questo è dunque, anche un messaggio della culla di Betlem: E’ dono del cielo la gioia per un altro.
G.ppe Petrelli | Bookmarking sociale |
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